Fondi alle moschee, così ci colonizzano – Cronache – iltempo

Qatar, Arabia Saudita e Turchia danno soldi. Obiettivo: conquistare Roma Acquistato un palazzo alla periferia della città da trasformare in centro di culto

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Fondi alle moschee, così ci colonizzano

Qatar, Arabia Saudita e Turchia danno soldi. Obiettivo: conquistare Roma Acquistato un palazzo alla periferia della città da trasformare in centro di culto

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Diciotto milioni di euro all’anno per costruire moschee e finanziare l’estensione capillare dell’Islam in Italia. Una cifra da capogiro, che arriva nel nostro Paese da Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Attraverso le Fondazioni e le Onlus da questi Stati parte un fiume di denaro che sovvenziona la creazione di nuovi luoghi di culto autorizzati e non. L’affare, anche se in misura nettamente inferiore, riguarda anche il Banghadesh che, soprattutto a Roma, ha una delle comunità più numerose. Nel caso dei bengalesi, però, i fondi vengono utilizzati per avviare piccole attività commerciali, in particolare i negozi di generi alimentari e l’acquisto di qualche garage per adibirlo a moschea.

La fetta più grossa dei soldi che arrivano in Italia, però, è quella che parte dai grandi finanziatori arabi e che serve per costruire luoghi di culto sempre più grandi e vistosi. I tre Stati da cui partono gli “aiuti” hanno anche provveduto, per varie motivazioni, a suddividersi l’Italia in tre grandi zone di competenza: il Qatar investe prevalentemente al sud, l’Arabia Saudita al centro e la Turchia a nord. La spartizione del territorio non è ovviamente rigida e spesso i soldi del Qatar servono per costruire moschee a Roma, quelli dei turchi approdano al sud e così via. In media, ogni anno, la Qatar Charity Foundation, che nel suo core business ha proprio quello di finanziare la creazione di luoghi di culto in Italia e in Europa, destina al nostro Paese circa 6 milioni di euro. Dalle associazioni turche, invece, ne arrivano 4 e 8 all’Arabia Saudita. Basti pensare che nel 2013, attraverso un comunicato rintracciabile sul sito della fondazione qatarina, è stato presentato un piano di investimenti nel nostro Paese già approvato e che prevede la costruzione di altre moschee, soprattutto in Sicilia, per una cifra totale di 2,5 milioni di euro. Per il centro islamico di Ispica, infatti, sono stati stanziati circa 256.956 euro, 428.260 per quello di Catania, circa 879.003 per il centro islamico di Messina e 809.839 euro per quello di Comiso. Le operazioni finanziarie, poi, come per ogni business che si rispetti, sono gestite da professionisti del settore che hanno il compito specifico di mettere in campo tutti gli strumenti utili per alimentare e rafforzare una sorta di “welfare di supporto” per i musulmani sparsi nel mondo. A queste figure, del tutto simili ai broker, viene anche chiesto di spostare i soldi attraverso numerosi passaggi in altrettanti istituti di credito, situati anche in altri Stati europei, in modo tale da rendere le operazioni quanto più possibile invisibili. È così che avviene una colonizzazione “dolce e non violenta”, che parte dal basso e passa attraverso investimenti milionari destinati a diffondere la dottrina islamica, con la presenza capillare di luoghi di culto sull’intero territorio nazionale.

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A questo meccanismo, che al momento non presenta aspetti illegali almeno in apparenza, parteciperebbero anche donatori privati, come ad esempio alcuni di origine pakistana e legati al movimento Deobandi, oltre che i più facoltosi sauditi. Al suo attivo, ad esempio, la Qatar Charity Foundation ha già un investimento fatto a Roma, pari e 4 milioni di euro, che ha consentito l’acquisto di un palazzo in periferia e dove sarebbero già iniziati i lavori di restauro. L’edificio, di quattro piani, diventerà una moschea e una scuola coranica. La filosofia che muove queste operazioni, non definibili jihadiste nel modo in cui si intende il termine riferito ai terroristi, è sempre però legata ad una interpretazione coranica restrittiva e spesso oscurantista. Già nel 2007, quando ancora non si parlava della restaurazione del Califfato, almeno non nei termini e con i modi del gruppo terroristico che fa capo ad Abu Bakr al-Baghdadi, Yusuf al-Qaradawi, teologo di riferimento dei Fratelli musulmani e residente in Qatar, in un video pronunciò agghiaccianti e profetiche parole: «Adesso è rimasta la seconda parte della profezia, che è la conquista di Roma. Questo significa che l’Islam tornerà nuovamente in Europa. Ritengo che questa volta non sarà con la spada, ma attraverso la predicazione e l’ideologia». La presenza capillare di moschee, collocate in garage e scantinati, così come la costruzione di altre che seguono i canoni architettonici delle strutture originarie, è l’avverarsi della profezia.

A differenza del Qatar e dall’Arabia saudita, ciò che muove i finanziamenti turchi risponderebbe a regole parzialmente diverse: l’interesse del Paese di entrare in Europa per colonizzare le attività economiche attraverso una estensione che guarda a nord. A Roma, in via Mocenigo a due passi dal Vaticano, è già presente una moschea non autorizzata frequentata prevalentemente da fedeli di nazionalità turca. La presenza dei finanziatori musulmani nel nostro Paese, che arrivano per organizzare l’invio del denaro e accertarsi che vada a buon fine, è costante. A fine 2013 a Roma si è tenuto un incontro tra un consulente economico giordano e i alcuni rappresentanti musulmani della Capitale, organizzato all’interno di un albergo, con lo scopo di pianificare il reperimento e la gestione dei fondi per realizzare, in Italia, almeno 15 moschee l’anno. Il budget milionario, si parla di circa 10 milioni di euro, è stato suddiviso tra Arabia Saudita, Qatar, Turchia e parte anche a carico di associazioni marocchine legate alla Capitale. Al momento le uniche cifre disponibili sul dettaglio degli investimenti sono quelle relative alla Qatar Charity Foundation, che le ha rese visibili sul suo sito.

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